Le letture di questa settimana offrono profonde intuizioni sulla nostra relazione con Dio e sulla nostra natura umana. Ci viene ricordata l’immensa potenza e l’amore di Dio, giustapposti alla nostra intrinseca fragilità e imperfezioni. Come le figure che veneriamo nella Chiesa di San Pietro e Paolo, impariamo che è nel riconoscere la nostra debolezza che troviamo la vera forza attraverso la grazia divina.
Nella prima lettura, l’incontro di Isaia con Dio lo lascia sopraffatto dalla propria indegnità. “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”, proclama Isaia, parole che risuonano nella nostra liturgia e nella Messa quotidiana. Eppure, di fronte a questa santità divina, Isaia confessa: “Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure” (Isaia 6:3,5). Questa non è autocommiserazione, ma una genuina presa di coscienza della fallibilità umana di fronte al divino. La risposta di Isaia evidenzia una comprensione cruciale: Dio non esige la perfezione prima di chiamarci al servizio. Invece, offre la grazia per superare le nostre mancanze, potenziandoci a diventare messaggeri della sua parola, anche con le nostre “labbra impure”. Questo risuona profondamente all’interno della comunità della Chiesa di San Pietro e Paolo, dove riconosciamo le nostre imperfezioni mentre ci sforziamo di servire.
L’apostolo Paolo riprende questo sentimento nella seconda lettura. Riconosce il suo passato come persecutore della Chiesa, considerandosi “il più piccolo tra gli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo” (1 Corinzi 15:9). Eppure, è proprio attraverso la grazia e il perdono di Dio che Paolo viene trasformato e incaricato come apostolo. Questa potente trasformazione ci ricorda che la chiamata di Dio non è esclusiva dei santi; piuttosto, è spesso estesa a coloro che riconoscono i propri difetti e sono disposti a cambiare. San Pietro e Paolo stessi, uomini imperfetti scelti per missioni straordinarie, esemplificano questa verità. Le loro vite, celebrate dalla Chiesa di San Pietro e Paolo, dimostrano che Dio chiama i peccatori a diventare santi, ad essere annunciatori ed evangelizzatori.
L’esperienza di Pietro nel Vangelo illustra ulteriormente questa dinamica. Dopo aver assistito alla pesca miracolosa di Gesù, Pietro è pieno di stupore e timore, esclamando: “Signore, allontanati da me perché sono un peccatore!” (Luca 5:8). La risposta di Gesù, “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Luca 5:10), è sia rassicurante che di incarico. Sottolinea che la disponibilità, non la santità intrinseca, è il requisito primario per il ministero. Proprio come San Pietro e Paolo, nonostante le loro fragilità umane, hanno risposto alla chiamata di Cristo, anche noi siamo invitati ad abbracciare i nostri ruoli all’interno della Chiesa, confidando nella grazia di Dio per operare attraverso le nostre imperfezioni.
Isaia, Paolo e Pietro, pilastri della fede e figure centrali per l’identità della Chiesa di San Pietro e Paolo, hanno tutti riconosciuto la propria indegnità di fronte all’amore infinito di Dio. Hanno capito che senza la grazia divina, erano incapaci e insignificanti. Tuttavia, Dio ha scelto di operare attraverso le loro debolezze, dimostrando che la sua potenza si manifesta pienamente nella nostra fragilità. Come scrive Paolo nella sua lettera ai Corinzi, “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza… Infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Corinzi 12:9-10). Questa profonda verità è una pietra angolare della fede cristiana e una fonte di conforto e incoraggiamento per la congregazione della Chiesa di San Pietro e Paolo.
La saggezza dei secoli, espressa nell’aforisma “Dio scrive diritto con righe storte”, e ripresa nella riflessione di David Walk, ci ricorda che Dio opera attraverso le nostre imperfezioni. Ci chiama a “spingerci al largo”, a correre rischi e a riporre la nostra fiducia in Lui. Quando usciamo nella fede, come fece San Pietro quando camminò sulle acque, possiamo incontrare paura e incertezza, ma non siamo mai veramente ingannati quando confidiamo nella guida di Dio. Ci esorta a “calare le nostre reti”, ad affrontare le nostre paure e ad abbracciare i rischi inerenti al seguire la sua chiamata. Ci viene ricordato: “Non temere, perché Egli è con noi”. Ci manda dove ha bisogno che siamo, fornendoci la forza per affrontare incomprensioni, sfide e persino persecuzioni.
Come Madre Teresa, siamo chiamati a dare priorità alla fedeltà rispetto al successo mondano. Ciò che conta veramente è la nostra fiducia in Dio e la nostra risposta alla sua chiamata, perché è Lui che dà significato e scopo alla nostra vita. Anche di fronte ai nostri fallimenti, Dio ci invita a ricominciare, a gettare di nuovo le nostre reti e a continuare a confidare in Lui. Questa fiducia è nutrita attraverso la preghiera, prendendosi del tempo per la riflessione silenziosa, permettendoci di essere amati da Dio e di amare a nostra volta. Oggi, come ai tempi di Pietro e Paolo, Cristo ci chiama a “ricominciare”, ad ascoltare la sua parola e a dargli una possibilità nella nostra vita. Come Pietro, possiamo affrontare lotte e dubbi, momenti in cui ci sentiamo di voler rinunciare.
Ricordiamo le parole di Abdul Kalam: “Se fallisci, non arrenderti mai perché F.A.I.L. significa ‘First Attempt In Learning’ (Primo Tentativo di Apprendimento). FINE non è la fine. F.I.N.E. significa ‘Effort Never Dies’ (Lo Sforzo Non Muore Mai). Se ricevi un ‘NO’ come risposta, ricorda N.O. significa ‘Next Opportunities’ (Prossime Opportunità)”. Ispirati dagli esempi di San Pietro e Paolo, corriamo dei rischi con Gesù, continuando ad ascoltare il suo comando di “calare le nostre reti”. Troviamo forza nella nostra debolezza, sapendo che attraverso la grazia di Dio, siamo potenziati per realizzare il suo scopo nelle nostre vite e all’interno della nostra comunità nella Chiesa di San Pietro e Paolo.
Dio è buono—Sempre.
Rev. Yvans Jazon Pastor