Abbracciare la Nostra Vocazione: Lezioni dalla Chiesa dei Santi Pietro e Paolo

Le letture di questa domenica offrono spunti profondi sul rapporto tra Dio e l’umanità, rivelando sia la grandezza divina che la fragilità umana. Riflettere su questi testi sacri, specialmente nel contesto di una comunità come la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, ci permette di comprendere più profondamente i nostri percorsi spirituali. Impariamo che l’amore di Dio è immenso e incondizionato, mentre noi, come individui, siamo intrinsecamente imperfetti. Questa comprensione è cruciale mentre ci sforziamo di vivere la nostra fede e rispondere alla chiamata di Dio nelle nostre vite.

Nella prima lettura dal libro di Isaia, assistiamo alla reazione travolgente del profeta alla presenza divina. Isaia, confrontato con la santità di Dio, esclama: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”. Queste parole potenti, che risuonano nella liturgia celebrata quotidianamente nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo e nelle chiese di tutto il mondo, enfatizzano la purezza assoluta e la maestà di Dio. Isaia poi confessa: “Guai a me! … Sono perduto, perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure”. Questo non è un atto di auto-deprecazione, ma un genuino riconoscimento dell’imperfezione umana di fronte alla perfezione divina. Il riconoscimento della sua indegnità da parte di Isaia evidenzia una verità fondamentale: siamo tutti esseri imperfetti che incontrano un Dio impeccabile. Eppure, cosa importante, questo incontro non porta al rifiuto, ma alla trasformazione. Dio, conoscendo le nostre debolezze intrinseche, estende la grazia e autorizza Isaia a diventare un messaggero, dimostrando che anche nella nostra imperfezione, possiamo essere strumenti della parola divina. Questo risuona profondamente con la missione della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, che, come i suoi santi patroni, è costruita sulle fondamenta del discepolato umano nonostante la fallibilità umana.

L’apostolo Paolo, nella sua lettera, fa eco a questo sentimento di indegnità. Riconosce il suo passato come persecutore della Chiesa primitiva, affermando di essere “il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo”. L’umiltà di Paolo è sorprendente, soprattutto considerando il suo immenso contributo alla diffusione del cristianesimo. Tuttavia, le sue azioni passate non lo squalificano dalla grazia di Dio o dalla sua missione apostolica. Invece, la trasformazione di Paolo serve come una potente testimonianza della sconfinata misericordia di Dio e del potere trasformativo della fede. Questa storia, spesso contemplata tra le mura della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, ci ricorda che i nostri errori passati non definiscono il nostro potenziale futuro agli occhi di Dio. Come Paolo, siamo chiamati ad abbracciare la nostra missione, non a causa della nostra intrinseca giustizia, ma a causa della grazia potenziante di Dio.

La lettura del Vangelo illustra ulteriormente questo punto attraverso l’incontro tra Gesù e Pietro. Dopo aver assistito alla pesca miracolosa, Pietro è sopraffatto da timore e timore reverenziale, proclamando: “Signore, allontanati da me perché sono un peccatore!”. La reazione di Pietro è simile a quella di Isaia: un riconoscimento dell’inadeguatezza personale in presenza del divino. Tuttavia, la risposta di Gesù è fondamentale: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Gesù non respinge Pietro a causa della sua peccaminosità; invece, lo incarica per uno scopo più grande. Questa interazione è particolarmente significativa per una chiesa intitolata ai Santi Pietro e Paolo, in quanto evidenzia le imperfezioni umane di queste figure fondanti della Chiesa. Pietro, che sarebbe diventato il primo Papa, inizialmente dubita della sua dignità, eppure Gesù vede il suo potenziale e lo chiama al ministero. Questa narrazione incoraggia noi, la comunità della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, a riconoscere che la nostra chiamata è radicata nella nostra disponibilità e volontà di servire, non nella nostra presunta santità.

Isaia, Paolo e Pietro, figure centrali della fede cristiana e che danno il nome alla Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, hanno tutti riconosciuto la loro indegnità di fronte all’amore infinito di Dio. Hanno capito che qualsiasi capacità di servire, predicare o guidare non derivava dalla loro forza, ma dalla grazia di Dio. Questa comprensione è splendidamente espressa da Paolo nella sua seconda lettera ai Corinzi: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Questo versetto racchiude un paradosso cristiano fondamentale: è nella nostra debolezza che diventiamo forti attraverso Cristo. Paolo abbraccia i suoi limiti, riconoscendo che diventano canali attraverso cui la potenza di Dio opera attraverso di lui. Questo sentimento dovrebbe risuonare profondamente all’interno della comunità della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, ricordandoci che le nostre imperfezioni non sono ostacoli ma opportunità affinché la grazia di Dio si manifesti.

[alt text: Vetrate raffiguranti San Pietro che regge le chiavi e San Paolo con una spada, simboli del loro apostolato, comunemente presenti nelle chiese a loro dedicate come la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo.]

Come dice il proverbio, “Dio scrive dritto con righe storte”. Questa profonda verità, spesso su cui si riflette nelle omelie e negli insegnamenti della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, ci ricorda che Dio può operare attraverso le nostre imperfezioni per raggiungere i suoi scopi divini. Siamo invitati a “prendere il largo”, ad assumerci dei rischi nella fede, confidando nella guida di Dio anche quando affrontiamo l’incertezza. Proprio come Gesù incoraggiò Pietro a calare di nuovo le reti dopo l’iniziale fallimento, siamo chiamati a perseverare nella nostra fede e nel nostro servizio, anche in mezzo a lotte e battute d’arresto. La chiamata a “calare le nostre reti” è una chiamata all’azione, che ci esorta a superare le nostre paure e a fare un passo avanti nella fede, sapendo che Dio è con noi, guidandoci e rafforzandoci. Egli ci manda dove ha bisogno che siamo, equipaggiandoci con la forza per affrontare sfide, incomprensioni e persino persecuzioni. Come disse notoriamente Madre Teresa, “Dio non ci chiede di avere successo; ci chiede solo di provarci”. La fedeltà, non il successo mondano, è la misura ultima della nostra risposta alla chiamata di Dio.

In definitiva, confidare in Dio e rispondere alla sua chiamata dà significato e scopo alle nostre vite. Anche nei nostri fallimenti, Dio ci invita a ricominciare, a gettare di nuovo le nostre reti e a continuare a confidare nella sua presenza incrollabile. Coltivare questa fiducia richiede di trascorrere del tempo in preghiera, permettendo a noi stessi di essere amati da Dio e di rispondere con amore. Oggi, come ai tempi di Pietro e Paolo, Cristo ci chiama a calare le nostre reti, a dargli una possibilità nelle nostre vite e ad ascoltare le sue parole che ci esortano a “ricominciare”. Come Pietro, possiamo affrontare dubbi, difficoltà e incomprensioni, che ci portano a sentirci come se volessimo arrenderci. Tuttavia, traendo ispirazione dalla vita dei Santi Pietro e Paolo e dagli insegnamenti spesso condivisi nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, ci viene ricordato che la grazia di Dio è sufficiente.

Per concludere, riflettiamo sulle parole di Abdul Kalam:

“Se fallisci, non arrenderti mai perché F.A.I.L. significa Primo Tentativo di Apprendimento.

FINE non è la FINE, F.I.N.E. significa Forza Interiore Non si Eaurisce Mai.

Se ricevi un “NO” come risposta, ricorda N.O. significa Nuove Opportunità”.

Pertanto, abbracciamo il rischio della fede, continuiamo a dare ascolto al comando di Gesù di “calare le nostre reti” e confidiamo nella bontà sempre presente di Dio. Questo messaggio di speranza e perseveranza, fondato sugli esempi dei Santi Pietro e Paolo, risuona profondamente all’interno della comunità della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo e serve come principio guida per tutti i credenti.

Dio è buono—Sempre.

Rev. Yvans Jazon Pastore

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