Pete Davidson attends the premiere of
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Pete Davidson: Trauma 11/9 e Padre Pompiere Eroe

Pete Davidson, l’attore e comico noto per la sua cruda onestà, ha recentemente condiviso un toccante racconto di come ha affrontato il trauma infantile in seguito alla perdita di suo padre, Scott Davidson, un pompiere di New York City tragicamente scomparso l’11 settembre 2001. In una conversazione profondamente personale nel podcast “Real Ones” di Jon Bernthal, Davidson, ora 29enne, si è aperto sul modo confuso e straziante in cui ha appreso della morte di suo padre e sull’impatto duraturo che ha avuto sulla sua vita.

Davidson ha raccontato il giorno degli attacchi, un giorno iniziato con l’innocente attesa di essere preso a scuola da suo padre. Invece, è arrivata sua madre, e un velo di tensione non detta è calato. Per tre giorni, il giovane Pete è stato protetto dalla tragedia che si stava svolgendo, sentendosi dire solo che suo padre era “al lavoro” e che “stava tornando a casa”. Questo tentativo di proteggerlo, sebbene forse ben intenzionato, ha solo prolungato l’agonia dell’incertezza. Sua madre lo ha persino messo in punizione dalla televisione, ritardando involontariamente l’inevitabile confronto con la realtà.

La verità, quando è arrivata, è stata dura e improvvisa. “Poi una sera, ho acceso la TV e ho visto mio padre in TV”, ha rivelato Davidson. La trasmissione mostrava immagini dei pompieri caduti, una conferma visiva della devastante perdita. A soli sette anni, Pete Davidson si è trovato di fronte all’immenso dolore e alla profonda assenza di suo padre, Scott Davidson, un eroe perito in servizio al World Trade Center.

Le immediate conseguenze furono un periodo di angosciante incertezza. “È stato strano perché non sapevamo che fosse morto per, tipo, tre settimane”, ha spiegato Davidson. La speranza, per quanto fragile, che suo padre potesse essere trovato vivo ha creato un tormentoso ottovolante emotivo. I costanti aggiornamenti delle notizie e la triste realtà della situazione erano travolgenti per un bambino piccolo da elaborare.

Pete Davidson alla première di un evento non specificatoPete Davidson alla première di un evento non specificato

L’assenza di suo padre, il padre pompiere di Pete Davidson, ha creato profondi problemi di abbandono che hanno afflitto Davidson per anni. Ha articolato il nucleo di questo trauma: “Sai, papà dice che verrà a prenderti e non lo fa”. Questa esperienza fondamentale ha instillato in lui una sfiducia pervasiva, influenzando le sue relazioni e la sua percezione del mondo. Ha candidamente ammesso: “Per tutta la vita, sono tipo, non credo a nessuno, e sto cercando di imparare come credere alle persone – e Hollywood non è esattamente il posto migliore per imparare questa abilità”.

Man mano che Davidson è maturato, la sua prospettiva è cambiata, permettendogli di apprezzare l’immenso fardello che sua madre ha portato in seguito alla tragedia. Ha riflettuto sulla sua forza e sacrificio, dicendo: “Mia madre aveva fottutamente, tipo, 30 anni… Io sto per averne – non saprei cosa cazzo fare. Ed è per questo che invecchiando penso, ‘Cavolo, mia madre era fantastica. Cazzo, mi ama davvero'”. Questa ritrovata empatia evidenzia il percorso di guarigione e comprensione di Davidson.

Davidson è stato in terapia per gestire il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e il disturbo borderline di personalità, condizioni che crede siano collegate al trauma della perdita del padre in un evento così catastrofico. La terapia gli ha fornito strumenti cruciali per navigare nel suo panorama emotivo e affrontare i problemi profondamente radicati derivanti dalla perdita infantile. Ha descritto la terapia come un processo di “verifica dei fatti” del suo stesso cervello condizionato dal trauma, imparando a sfidare schemi radicati di sfiducia e insicurezza. “Devi davvero ingannare il tuo cervello, perché il tuo cervello dopo un po’ si abitua al trauma, si abitua a essere ferito, si abitua a essere fregato”, ha condiviso, sottolineando il profondo impatto del trauma sul benessere mentale ed emotivo.

Davidson ha anche parlato coraggiosamente delle sue passate lotte con l’autolesionismo, tra cui tagli e sbattere la testa, come meccanismi di coping disadattivi per emozioni travolgenti. Ha dettagliato il suo percorso verso strategie di coping più sane: “Fino a un anno fa, mi tagliavo e sbattevo la testa contro i muri, perché se non riuscivo a gestire qualcosa, tipo se qualcuno mi diceva qualcosa di triste o qualcosa che non riuscivo a gestire, sbattevo la testa contro il muro sperando di svenire perché non volevo essere in quella situazione perché non riuscivo a gestirla”. La sua apertura su queste esperienze sottolinea la gravità del suo trauma e la lunga strada verso la guarigione.

Attraverso la terapia e la crescita personale, Davidson ha sviluppato modi costruttivi per gestire il disagio. Ora utilizza tecniche come fare docce fredde, ascoltare musica o connettersi con gli amici quando si sente sopraffatto dall’impulso di autolesionarsi. Riconosce questi sentimenti come ondate temporanee, imparando a cavalcare le onde emotive piuttosto che soccombere a comportamenti distruttivi. “Quella sensazione il più delle volte svanisce dopo, tipo, 15, 20 minuti”, ha osservato, illustrando il potere dei meccanismi di coping nella gestione di stati emotivi intensi.

La storia di Pete Davidson è una testimonianza di resilienza e dell’impatto duraturo della perdita. La sua volontà di condividere la sua esperienza profondamente personale con la morte di suo padre pompiere, Scott Davidson, serve come un potente promemoria della lunga ombra proiettata dall’11 settembre e dell’importanza di affrontare il trauma infantile. Il suo percorso di guarigione, sebbene in corso, offre speranza e incoraggiamento ad altri che lottano con il dolore, il PTSD e la complessa eredità della perdita.

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